Il lavoro che non piace

Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace.
Ma qui c’è gente che passa dal Grande Fratello a La Grande Bellezza, solo perché ha appena vinto l’Oscar e lo danno su Canale 5. Salvo poi lamentarsi, annoiarsi, anche se fino a poche ore prima mostrava uno spirito patriottico italiano in stile finale mondiale luglio 2006. E allora sorge il dubbio che ciò che piace, passi sempre più spesso in secondo piano. Quelli che “Sorrentino chi? Adoro Checco Zalone” sono passati a “Ha vinto l’Oscar, vediamolo”, anche se potevano prevedere non rientrasse nei loro gusti.

Se le scelte non sono dettate dalle preferenze personali nemmeno nel tempo libero, che dire allora del lavoro? Perché, si sa, si lavora per soldi: con quelli si pagano le bollette, il cibo, i vestiti, gli imprevisti. E pazienza se i guadagni arrivano da una professione poco gradita o addirittura odiata, soprattutto in un periodo complicato come questo. Avere un lavoro è già molto, avere un lavoro che piace è purtroppo un extra lusso. Ma quali conseguenze può avere questa mentalità?

Il lavoro – quando c’è – è parte assai rilevante della vita quotidiana. Spesso si passano molte più ore al lavoro, che con i propri cari. Se non piace, se non soddisfa, se non appaga, è causa di frustrazione, rabbia e delusione. Si produce poco, si produce male. L’autostima cala. Il tempo sembra sprecato. Il sacrificio pesa. E tutto questo si ripercuote inevitabilmente sul proprio modo di vivere e sulla propria vita privata.

Con il massimo rispetto per qualsiasi tipo di lavoro che – come si dice – nobilita l’uomo,  noi crediamo che nessuno debba essere condannato se pensa di potersi realizzare con più soddisfazione e più successo in un ambito diverso da quello in cui si trova o da quello che gli viene proposto. Non si tratta di snobismo, né di presunzione, si tratta piuttosto di essere soddisfatti di sé stessi e contenti delle proprie scelte. Se non si ama parlare e relazionarsi con gli altri, non si potrà essere un buon commerciale. Se non si ha passione per il legno, non si potrà essere un bravo falegname.

E allora accettate pure le mansioni poco gradite perché sopravvivere si deve e adattarsi è spesso necessario, ma non fermatevi. Non arrendetevi. Cambiate canale, anche se quello è il film che ha vinto l’Oscar. Continuate a cercare, a formarvi, a tendere verso la vostra realizzazione professionale e personale: lo dovete a voi stessi.

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2 Responses to “Il lavoro che non piace”

  1. Gaetano Cataldo

    L’aspirazione professionale è una grandissima cosa…il modello unitario a livello globale ci ha insegnato che se non lavori non sei nessuno! Se non guadagni abbastanza non sei nessuno! Se non hai e non dimostri di avere non sei nessuno! Insomma tutto sembra suggerire che l’individuo sia ciò che fa e ciò che ha! Non è così…..noi siamo ciò che siamo indipendentemente da quel che facciamo e da quel possediamo. Per quanto giusto sia ambire alla professione che più aggrada questo non deve voler significare di attendere sino a quando essa non pioverà dal cielo…..bisogna agire, non fare gli schizzinosi e non abbandonare mai la formazione personale e la lettura di un libro educativo, che affini un certo tipo caratteristica mirata al raggiungimento di una qualità ricercata proprio nell’ambito in cui desidereremmo impiegarci…….quindi bisogna passare anche per i lavori umili, per quelli che non piacciono ed avere la capacità interiore di non abbrutirci, di non perdere di vista il sogno di un lavoro su misura per noi…..abbiamo altresì il dovere di non farci cogliere impreparati quando l’occasione arriverà proprio grazie a quella formazione e quelle letture che ci releghino una preparazione almeno da autodidatta e ci rendano idonei secondo gli standard di selezione….. vedo però che c’è mediocrità anche rispetto a chi seleziona, quella fretta voluta dal sistema che in realtà giustifica l’incapacità di un selettore di saper davvero leggere un curriculum e di comprendere “tra le righe” del curriculum chi si ha davanti durante la selezione. Curriculum brevi vogliono (come fa la vita di un individuo attivo di 30 anni ad essere imbrigliato nell’altrui pretesa della succinta e fredda sintesi……ma chi lo ha stabilito, se non la mediocrità ed un sistema fondato sulle apparenze?), quelli lunghi neanche li leggono, quelli (secondo loro) non confacenti alla mansione offerta li cestinano…….solo mediocrità! Basta la presenza del titolo giusto e di una preparazione professionale adeguata associata a “manovale edile” o “imbianchino” per far esclamare “e cosa c’entra edilizia e pittura con la figura ricercarta” ……..troppi sono gli idioti e gli incapaci che piuttosto che dire “cavolo, questo tizio ha studiato, si è preparato in un modo o nell’altro e non ha voluto starsene con le mani in mano, ma si è arrangiato dimostrando tre cose: buona volontà, flessibilità e spirito di adattamento”……..sono troppo mediocri i selettori oggigiorno per avere sufficiente giudizio per arrivare a tanto e………non sia mai che i candidato sia in possesso di due diplomi, dieci attestati professionali, esperienze sia nell’ambito richiesto che in altri settori e l’hobby della scrittura e dello sport: verrebbe scartato perché troppo qualificato, questo direbbe quell’idiota d’un selettore che non sa neanche allacciarsi le scarpe (con le dovute eccezioni)!!!

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  2. Giovanna

    Concordo in pieno con quest’articolo.
    Mi spiego: è vero che al giorno d’oggi, non si può più scegliere il lavoro da svolgere, a causa della crisi, ahimè. Però è pur vero che non è giusto sentirsi valutatati a causa di una lavoro svalutante.
    Lungi da me, dal rifiutare un lavoro solo perchè non attinente ai miei interessi ed aspettative ma…..troppe volte nella vita mi sono sentita svalutata ed umiliata.
    Ed…..è verissimo, come descritto nell’articolo, che trascorriamo più tempo al lavoro che in famiglia.
    Proprio per questo……è una sofferenza indicibile sentirsi svalutati. Soprattutto dopo aver investito, denaro ed energiche psico-fisiche, in anni di studio universitari.
    Ma….non voglio smettere di sperare, voglio credere nel futuro, nel domani!
    “Non può piovere per sempre. Solo una ripida salita, dev’esserci per forza una discesa!”.

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